7 Luglio 2007
Quando i membri di Hamas vennero eletti come blocco di maggioranza del Consiglio Legislativo Palestinese, e appena fu chiaro che un embargo internazionale guidato dagli USA avrebbe seguito quella vittoria, io contattai molti intellettuali e scrittori in Palestina, per lo più quelli che si erano spesso schierati nella parte sinistra dello schieramento palestinese. Chiesi loro di essere uniti dietro la scelta collettiva del popolo palestinese e difendere ad ogni costo la sua democrazia.
Un paragrafo del mio appello recitava: "Questa è la prima volta nella nostra storia che una leadership è scelta al nostro interno per portarci avanti, scelta da quelli che sono stati calpestati, dai poveri, dagli espropriati. Non mi faccio illusioni sul fatto che l'attuale parlamento sia una espressione autentica di democrazia, perché niente del genere può venir fuori sotto un'occupazione, e mi è altrettanto chiaro che questo Consiglio non rappresenta che una minoranza del nostro popolo, ma non c'è dubbio che vi è una grande speranza in quei rifugiati, in quei membri di umili famiglie, in quegli insegnanti di scuole elementari e in quella classe operaia che ora sta giustamente rivendicando la propria posizione di leadership. A dispetto di come gli USA interpretino questo atto collettivo, è importante che noi lo difendiamo articolando le realtà della Palestina per come esse realmente sono, non secondo le distorsioni a cui i grandi media sono così pronti".
Intrapresi questa azione quando mi resi conto che Hamas stava perdendo la battaglia sul fronte dei media. La ragione era semplice: non avevano né l'esperienza né il giusto programma per raggiungere i media internazionali ed articolare la propria posizione in un maniera convincente. Sapendo questo, ed essendo anche consapevole della polarizzazione in Palestina, temevo che la rappresentazione che sarebbe emersa sarebbe stata quella di Hamas contro Fatah, del governo islamista contro i laici, come di fatto accadde.
Come individuo che definisce se stesso un umanista laico, io non interpretavo il dibattito in Palestina in questi termini, e credo che la maggior parte degli intellettuali palestinesi della Diaspora -- ciò che costituisce per me un motivo di grande orgoglio -- adottarono anch'essi questa logica: la vera questione era per me quella di una democrazia che stava per abortire prematuramente come risultato della sinistra unione di molti governi del mondo, di Israele e di molti corrotti Palestinesi. Nondimeno l'adirata risposta era comprensibile. Il voto palestinese fu un atto collettivo di proporzioni epiche che ridicolizzò, quasi istantaneamente, la farsa dell'amministrazione Bush del Grande Progetto per la Democrazia in Medio Oriente, un'estensione del Nuovo Progetto per il Medio Oriente della fine degli anni 90. Il governo USA aveva preparato un progetto specifico, che prevedeva una finzione di democrazia che avrebbe servito i suoi interessi a lungo termine nella regione e lo avrebbe posto nella posizione di difensore della volontà popolare per molti anni a venire, ora che i suoi obiettivi in Iraq apparivano così incerti.
All'interno le elezioni significavano anche che i Palestinesi -- terrorizzati per sei decenni dall'esercito israeliano, dalle forze di "sicurezza" palestinesi guidate da Israele e dai loro signori della guerra -- possedevano ancora la forza di reagire ed insistere sul loro diritto di sfidare lo status quo. Era una delle più grandi vittorie non violente del popolo palestinese, paragonabile solo alla loro rivolta del 1987.
A seguito delle elezioni la leadership del movimento insisteva a governare secondo le norme della democrazia e della società civile, e subito rivolse inviti a tutti i gruppi palestinesi per formare un governo di unità nazionale.
Fatah rifiutò. E non fu una sorpresa. Ma perché anche la cosiddetta sinistra palestinese rifiutò di entrare nel governo -- a dispetto della grande popolarità tra i Palestinesi -- in un atto che avrebbe aiutato in molte maniere la democrazia palestinese?
Nei primi mesi, seguendo il solitario accesso al potere di Hamas nel Marzo 2006, cominciammo a vedere rispettati intellettuali palestinesi che rilasciavano ai media dichiarazioni che mettevano a disagio, attaccando Hamas come se fosse un corpo estraneo, sbarcato da Teheran, e pertanto, prestando un certo implicito appoggio all'embargo internazionale. Spesso, con orgoglio, avevo diviso il palco con questi personaggi in incontri internazionali; alcuni si atteggiavano persino a socialisti e parlavano con fervore della lotta collettiva contro l'imperialismo internazionale ed il bisogno di attivare la società civile nella lotta contro l'ingiustizia e compagnia bella. La vittoria di Hamas ha rivelato l'abisso che c'era tra le parole e le azioni, tra le priorità nazionali ed ideologiche, per non parlare dei limiti e delle limitazioni di alcuni individui. Quando Hamas ha iniziato i colloqui con alcuni gruppi "socialisti" palestinesi, ero certo che questi ultimi avrebbero compreso l'importanza della sfida ed avrebbero preso parte al governo di unità nazionale, anche se un'alleanza con un gruppo religioso avrebbe creato attriti con i loro principi generali. Io pensavo che la situazione era troppo seria perché manifesti e programmi di partiti si mettessero di mezzo. Avevo torto.
Dopo la resistenza armata degli anni 70 a Gaza, guidata in parte da vari gruppi socialisti, non ci fu più una sinistra popolare che sapesse fare appello all'immaginario di larghi strati della popolazione palestinese. Benché alcuni di questi gruppi avessero mantenuto una certa posizione di integrità -- ad esempio opponendosi agli Accordi di Oslo -- rimanevano per lo più confinati nelle università, nei circoli urbani accademici e artistici, e tra gli intelletuali del ceto medio -- o talora dei ceti più elevati.
La bizzarria del caso vuole che Hamas, in base ad una definizione pratica, è più vicina ai principi socialisti degli intellettuali "socialisti" urbani.
Prendendo le difese di Hamas e della volontà del popolo palestinese, io non ho sentito di deviare dai miei stessi principi. La mia lettera alla sinistra palestinese non generò risposte -- la mia presa di posizione ha suscitato un entusiasmo molto maggiore in occidente tra i progressisti occidentali. Ora che la divisione tra Hamas e Fatah è assurta a divisione quasi geografica -- un allontanamento completo dagli obiettivi nazionali palestinesi, molti a sinistra vanno ripetendo come pappagalli vecchi mantra, sgomitando per qualche apparizione alla BBC, avanzando pretese verso Hamas ed usando espressioni come "golpe contro la democrazia palestinese".
Per cominciare occorrerebbe chiarire se esiste ancora una sinistra palestinese; hanno perso la sola opportunità che avevano per giocare un ruolo importante, ed ora continuano a corteggiare lo status quo, atteggiandosi come se fossero i pochi saggi che svettano da una moltitudine di sciocchi: l'esatta definizione dell'elitismo intellettuale.
Ramzy Baroud è uno scrittore americano-palestinese, direttore di PalestineChronicle.com il suo libro più recente è The Second Palestinian Intifada: A Chronicle of a People's Struggle (Pluto Press, London).
Tradotto dall'inglese da Gianluca Bifolchi, un membro di Tlaxcala ( www.tlaxcala.es ), la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale : è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne l'autore e la fonte.
Articolo originale;
http://www.middle-east-online.com/english/?id=21345
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