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Palestina
Le ragioni per un massacro


Dopo oltre venti giorni di bombardamenti aerei, dalle navi e dall’artiglieria terrestre, le operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza si sono – momentaneamente - interrotte con la "tregua unilaterale" decisa il 18 gennaio.
Restano le macerie delle città e dei campi profughi palestinesi, gli oltre 1.300 morti e le migliaia di feriti. Resta l’assedio israeliano della sfortunata striscia di terra palestinese. Restano le politiche di occupazione e colonizzazione in Cisgiordania e Gerusalemme est. Resta la volontà dei governi israeliani di impedire la nascita di qualsivoglia "entità palestinese" autonoma e indipendente. Resta la vergogna di una cosiddetta "comunità internazionale" che ha "compreso" le ragioni israeliane e appoggiato la sua guerra.
Resta anche la necessità di capire i motivi di questa operazione, della distruzione che ha prodotto e le dinamiche che potrebbe aver aperto...

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Palestina
Le ragioni per un massacro

Piero Maestri

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27 febbraio 2009

Rendere impossibile qualsiasi soluzione del conflitto non scritta a Tel Aviv e Washington è stato l’obiettivo dell’operazione "Piombo fuso"


Dopo oltre venti giorni di bombardamenti aerei, dalle navi e dall’artiglieria terrestre, le operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza si sono – momentaneamente - interrotte con la "tregua unilaterale" decisa il 18 gennaio.
Restano le macerie delle città e dei campi profughi palestinesi, gli oltre 1.300 morti e le migliaia di feriti. Resta l’assedio israeliano della sfortunata striscia di terra palestinese. Restano le politiche di occupazione e colonizzazione in Cisgiordania e Gerusalemme est. Resta la volontà dei governi israeliani di impedire la nascita di qualsivoglia "entità palestinese" autonoma e indipendente. Resta la vergogna di una cosiddetta "comunità internazionale" che ha "compreso" le ragioni israeliane e appoggiato la sua guerra.
Resta anche la necessità di capire i motivi di questa operazione, della distruzione che ha prodotto e le dinamiche che potrebbe aver aperto.

IL CONTESTO FAVOREVOLE

I commentatori anche in Italia hanno concentrato la loro attenzione su tre elementi per spiegare la tempistica dell’operazione israeliana: lo scadere e la "violazione" della tregua in vigore dal giugno 2008; le prossime elezioni legislative israeliane; il periodo finale della presidenza Bush e l’imminente insediamento del neoeletto Barack Obama.
Certamente queste vicende hanno influito e aiutano a spiegare il contesto, anche se la maggioranza dei media ne hanno dato versioni parziali o false, in particolare della tregua e delle responsabilità della sua "violazione".
Sappiamo ormai per certo che la prima vera violazione della tregua è avvenuta il 4 novembre con un’operazione israeliana all’interno della Striscia di Gaza che ha provocato l’uccisione di 7 militanti di Hamas. Una provocazione voluta proprio per impedire una riproposizione della tregua al momento della sua scadenza (dicembre 2008), cosa non impossibile visto che all’interno di Hamas molti sostenevano l’utilità di questo rinnovo.
È evidente che l’operazione "Piombo fuso" era già stata decisa da mesi e che la tregua ha rappresentato per Israele un periodo favorevole per costruire l’attacco, dal punto di vista militare e politico.
Anche per quanto riguarda le prossime elezioni israeliane non si deve esagerarne l’importanza. È vero che Olmert, Livni e Barack hanno cercato di recuperare lo svantaggio nei confronti del leader del Likud Benijamin Nethanyau presentandosi come dirigenti affidabili e coerenti con l’obiettivo della "sicurezza" di Israele e dei suoi cittadini, ma un’operazione di tale portata ha avuto tempi di preparazione e programmazione, e strategie, che vanno oltre il momento elettorale.
Analogamente, il periodo di interregno tra l’uscita di scena di George W. Bush e l’imminente insediamento di Obama ha rappresentato il giusto momento per evitare fastidiose pressioni statunitensi, anche solo di facciata di fronte alle numerose vittime civili. Significativa in questo senso la scelta israeliana di interrompere le operazioni militari proprio due giorni prima del 20 gennaio, evitando al neopresidente Usa l’imbarazzo di un intervento significativo sulla questione.

OBIETTIVI E STRATEGIA

Ma allora quali obiettivi hanno mosso un tale spiegamento di forza? Perché colpire Hamas e i palestinesi in questo momento e con tale forza?
Sicuramente l’obiettivo principale era Hamas, non tanto per fermare gli "attacchi missilistici", sicuramente dannosi per l’opinione pubblica israeliana (ovviamente oltre alle vittime, per fortuna poche, provocate dai Qassam), quanto per fermarne ogni possibile evoluzione politico-militare interna alla società palestinese e qualsiasi ruolo internazionale.
Fin dal 1948 i governi israeliani hanno sempre avuto come obiettivo la distruzione di ogni leadership palestinese "non collaborativa" e la promozione di quella disponibile ad accettare il "consenso" israeliano e la sua agenda politica. Hamas negli ultimi anni, per diversi motivi, ha costruito una propria egemonia a Gaza e si è presentata sulla scena internazionale come soggetto con cui fare i conti (come era successo già in Libano per Hetzbollah). Un rinnovo della tregua avrebbe riproposto questo ruolo, costringendo i governi europei e arabi in particolare - ma anche la nuova amministrazione Usa - a mettere in programma un rilassamento dell’embargo e relazioni dirette con Hamas e il suo governo di fatto della Striscia di Gaza.
Per questo l’operazione militare si è concentrata sulla distruzione in primo luogo dei quadri intermedi della struttura amministrativa e politica di Hamas, più ancora che militari (per esempio la polizia civile) e sulle infrastrutture che hanno permesso ad Hamas di "governare" la Striscia e rafforzarsi sul piano politico-militare. Si è molto parlato della distruzione dei tunnel - che servivano a far passare armi, ma anche i mezzi necessari alla sopravvivenza della popolazione di Gaza - ma il grosso delle distruzioni ha riguardato uffici, palazzi amministrativi, scuole ecc.
L’attacco ha rappresentato una "spedizione punitiva" contro Hamas, con l’obiettivo di riportare la sua capacità di "governo" della società palestinese a molti anni fa.

MESSAGGIO ALLA COMUNITA’ INTERNAZIONALE

Come sempre avviene con le guerre israeliane, il loro messaggio viene inviato anche verso i governi della regione, statunitense ed europei, e l’Onu in quanto tale. In questo caso con due obiettivi: convincere la comunità politica internazionale della "necessità" della guerra di fronte al "terrorismo" di Hamas e, soprattutto, dell’inaccettabilità di ogni apertura nei confronti della stessa Hamas quale governo a Gaza. Un messaggio che, per esempio, in Italia è arrivato forte e chiaro, visto l’accanimento con cui è stato criticato persino D’Alema per aver dichiarato la necessità di "parlare anche con Hamas".
Destinatario particolare del messaggio era il governo egiziano, affinché collaborasse maggiormente all’isolamento di Hamas controllando il valico di Rafah ed evitando "mediazioni" che possano coinvolgere Hamas. Un messaggio che il governo egiziano ha accettato sia perché da tempo fedele alleato degli Usa e pronto alla collaborazione con Israele, sia per i rischi di una possibile eccessiva pressione di donne e uomini palestinesi in fuga verso l’Egitto.

DISTRUZIONI NON COLLATERALI

Per quanto i giornali e le televisioni ci abbiano ripetuto all’infinito il mantra della morte di civili come responsabilità di Hamas che li utilizzava come scudi umani, le modalità dell’operazione "Piombo fuso" erano intenzionalmente dirette alla distruzione del territorio e gli obiettivi "mirati" inevitabilmente avrebbero comportato la morte di centinaia di "civili". E questo non solamente perché colpire le strutture diffuse dell’amministrazione di Hamas - strettamente legate ai luoghi della vita quotidiana della popolazione della Striscia - comportava per forza mettere a rischio i civili, ma soprattutto perché le forze armate israeliane hanno deliberatamente e progressivamente attaccato le strutture della vita civile palestinese: scuole, moschee ecc. (per non parlare dei criminali attacchi ai soccorsi, le ambulanze e così via). E questo anche utilizzando armi di particolare pericolosità (fosforo bianco ecc.).
Il messaggio della guerra israeliana - come in tutte le operazioni della "guerra globale permanente" - era profondamente terroristico nei confronti dei palestinesi. Non perché si cercava un’improbabile "rivolta" dei cittadini di Gaza contro Hamas riconosciuta come responsabile ultima dei lutti; né i dirigenti israeliani pensavano seriamente fosse possibile riportare a breve l’Anp di Abu Mazen a Gaza. Israele voleva costringere i palestinesi di Gaza a passare i prossimi anni concentrati sulla ricostruzione materiale, politica e sociale; ha inviato loro, con le bombe e i razzi, il messaggio dell’accettazione dei rapporti di forza, dell’impossibilità della resistenza, della necessità di aderire alle logiche e alle scelte israeliane, pena la distruzione totale.

UNA DURA LEZIONE

"Piombo fuso" voleva essere una "dura lezione" per Hamas e per i palestinesi, di Gaza e della Cisgiordania.
Come ha scritto Tom Segev su "Ha’aretz": "Israele sta colpendo i palestinesi per 'dar loro una lezione’. Questo è l’assunto fondamentale dell’impresa sionista fin dalle origini. Noi siamo i rappresentanti del progresso e dell’illuminismo, della razionalità e della moralità, mentre gli arabi sono primitivi, violenti, infantili e vanno educati alla saggezza attraverso, ovviamente, il bastone e la carota, proprio come un padrone fa con il suo asino…". Con altre parole, è quanto ha scritto Alessandro Dal Lago su "il manifesto" a proposito della "doppia umanità" e del "massacro dei palestinesi come fine e non come mezzo militare".
Ancora una volta l’opinione pubblica israeliana, statunitense ed europea è stata messa di fronte a questa "doppia umanità"", all’esistenza di un "altrove" delimitato dal Muro dell’apartheid e dai "confini" di Gaza (come già in Afghanistan, in Iraq, in Libano…) dietro i quali esisterebbe un mondo da cui dobbiamo necessariamente difenderci.
E questo anche "a casa nostra", si direbbe, viste le urla dei sostenitori nostrani dello "scontro di civiltà" circa la "provocazione" delle preghiere nel centro di Milano o Bologna (questo al di là della preoccupazione laica e politica sul ruolo che le organizzazioni religiose e fondamentaliste stanno assumendo nelle iniziative politiche).

FALLIMENTO STRATEGICO?

Qualcuno ha parlato di "fallimento strategico" dell’operazione israeliana, da diversi punti di vista.
A parte la retorica della "vittoria di Hamas", conseguente alla sua sopravvivenza e al mantenimento di una pur minima capacità militare, c’è chi ha parlato di fallimento di fronte all’impossibilità israeliana di raggiungere i suoi obiettivi strategici (eliminazione o asservimento di ogni leadership palestinese indipendente; distruzione di ogni resistenza palestinese; cancellazione della "questione palestinese" dall’agenda internazionale) attraverso lo strumento militare.
Da questo punto di vista va sottolineato che gli obiettivi del massacro di Gaza non erano di così lungo periodo, ma miravano ancora una volta a "prendere tempo", evitare ogni credibile e onesto tavolo di trattativa e proseguire senza freni la colonizzazione di Cisgiordania e Gerusalemme.
L’operazione "Piombo fuso" non ha prodotto alcuna "nuova mappa" della regione più favorevole a Israele, come ha scritto qualche analista, ma non era questa l’intenzione israeliana: l’importante era evitare ogni possibile mappa non gradita a Israele.

L’UNICA DEMOCRAZIA MEDIORIENTALE

Difficile, ovviamente, dire quali conseguenze avrà nel prossimo futuro l’operazione israeliana.
Si possono per il momento segnalare alcune dinamiche che già sembrano intravedersi.
All’interno della società e della politica israeliana sembra rafforzarsi ancora di più una tendenza aggressiva, di accettazione delle "ragioni" di guerre "onestamente inevitabili" (come ha scritto Antonio Ferrari sul "Corriere della sera"), di repressione del dissenso alla guerra e di isolamento della comunità palestinese di Israele. Ci sono state importanti manifestazioni in Israele contro il massacro, generose e coraggiose, ma ancora fortemente minoritarie, alcune fortemente represse, con centinaia di arresti.
Ma ancora più preoccupante la scelta di escludere i partiti arabi progressisti dalla competizione elettorale - dichiarando la loro vicinanza al "nemico" e la condanna del massacro di Gaza. In questo modo si toglie un altro velo all’ipocrisia dello "stato ebraico democratico", riaffermando che ciò che conta in Israele è il "consenso nazionale" della comunità ebraica, non certo il rispetto dei diritti (civili, sociali e politici) di tutti i cittadini che vi abitano. È la contraddizione di fondo tra base etnica e diritti di cittadinanza dello "stato ebraico democratico".

POLITICIDIO E SUICIDIO POLITICO

Se obiettivo dei governi israeliani, come sosteneva lo scomparso sociologo Baruh Kimmerling, è quello del "politicidio", cioè della graduale e sistematica distruzione dei palestinesi come entità sociale e politica indipendente, dobbiamo sottolineare anche i limiti e gli errori della leadership palestinese, che sembra troppo spesso indirizzata al "suicidio politico".
È il caso dell’Anp di Abu Mazen, che ha tardato a condannare il massacro di Gaza, indicandone il responsabile ultimo nella stessa Hamas, e ha pesantemente represso ogni forma di manifestazione di protesta e solidarietà in Cisgiordania (per quelle a Gerusalemme ci ha pensato direttamente la polizia israeliana). Ma soprattutto continua a sperare di riprendere il controllo della Striscia - da cui è stata espulsa militarmente da Hamas, ma nel forte disprezzo popolare per il suo comportamento passato - grazie all’intervento israeliano o internazionale e oggi torna ad affacciarsi a Gaza grazie agli "aiuti" internazionali, che dovranno passare attraverso l’Egitto e la stessa Anp (così ha dichiarato anche il ministro degli Esteri italiano Frattini, in continuità con l’uso politico della cooperazione fatto da tutti i governi): in questo modo spera di spezzare il legame tra Hamas e la popolazione di Gaza attraverso la ricostruzione dei prossimi anni.

HAMAS E LA RESISTENZA

Hamas ha retoricamente proclamato la sua "vittoria", per aver resistito ed essere ancora in grado di "colpire Israele". È vero che non è stata distrutta in quanto formazione politico-militare, che al momento sembra mantenere una forte leadership a Gaza e che è riuscita a coinvolgere gli altri gruppi palestinesi nella difesa di Gaza - non solo la sinistra del Fplp e la Jihad, ma anche Fatah, i cui combattenti sono stati anch’essi in prima fila in questi giorni, ma resta il limite strategico di questo gruppo e un forte dibattito interno tra coloro che riconoscono il pesante colpo subito (soprattutto per la popolazione) e chi, soprattutto all’estero, vuole riproporre le stesse strategie di questi anni. Limite strategico che consiste sia nell’incapacità di "governare" la società palestinese coinvolgendo le altre tendenze politiche e culturali - e in questo senso il suo carattere religioso spesso porta a provvedimenti repressivi e di intromissione nel pluralismo palestinese -, sia nella mancanza di una complessiva strategia contro l’occupazione israeliana e per un rottura dell’assedio. Sappiamo bene che l’occupazione israeliana e l’assedio di Gaza hanno reso quasi inefficace ogni forma di resistenza civile e non armata, ma affidarsi quasi esclusivamente al lancio dei Qassam, a parte l’esito tragico dell’uccisione di civili, alla speranza di nuovi rapporti nella regione (rischiando in questo modo di legarsi in maniera troppo stretta all’Iran, che ha una propria agenda politica, non necessariamente coincidente con i diritti palestinesi) e alla propria presa egemonica interna non permette ad Hamas di promuovere una nuova unità palestinese e una strategia di liberazione che non rischi di essere rubricata nello "scontro di civiltà" e non metta la popolazione palestinese di fronte a nuovi massacri - dei quali evidentemente il governo israeliano è l’unico responsabile.







:: Article nr. s9332 sent on 20-nov-2009 02:46 ECT

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