1 marzo 2009


L'ubertoso e fertile germinare di proposte confusionarie di contenzione o abbattimento del capitalismo - dalle stravaganze monetarie sul cosiddetto signoraggio, alla vacuità teorica degli zelatori dei diritti umani - è il più chiaro argomento a riprova di quanto profonda, inesorabile e totale sia stata la vittoria del capitalismo nel corso degli anni novanta contro la più seria minaccia politico-ideologica che abbia saputo metterlo in scacco: il movimento comunista internazionale.

Da queste rovine non ci si riprenderà certo grazie alla stupidità - ora candida ora astuta - di chi crede che occorra "distinguere" tra i valori e le aspirazioni autentiche del comunismo e i "regimi" burocratici e autoritari che ne usurparono la virtù. In Italia questo verbo sublime ed evangelico ha trovato parola profetica in rivoluzionari del calibro di Fausto Bertinotti. Nè vi è da sperare maggiormente dal comunismo piccolo-borghese di un Saramago, dedito alla delegittimazione della guerriglia colombiana con uno zelo verbale che farebbe l'invidia di Juan Manuel Santos, e la gioia del direttore marketing della sua casa editrice.

Gli ingenui che in buona fede accettano questa "distinzione" tra principi e aspirazioni del comunismo da una parte e deriva autoritario-burocratica dall'altra, scettici su tutto, accettano nondimeno di farsi raccontare la storia del ventesimo secolo dal Corriere della Sera e dal Wall Street Journal, mancando di intuire che l'archetipo di tutte le "rivoluzioni colorate" sono le picconate ultramediatizzate al Muro di Berlino. Triste lascito di un'implosione sistemica del "socialismo reale" verificatasi in era sfortunatamente pre-Internet.

Non mancherà la voce audace e coraggiosa di chi, revocando in dubbio la storia dei vincitori, ricorderà l'infamia dei bombardamenti alleati su Dresda. Tale "coraggio" o "audacia" non arriverà peraltro al punto di ricordare che per la contrarietà di Stalin ai bombardamenti terroristici sulla popolazione civile, i bombardieri della Raf e dell'United States Air Force non potevano sorvolare i territori già occupati dall'Armata Rossa, perché sarebbero stati tirati giù dalla contraerea sovietica.

E chi pur condanna con sincero vigore la napalmizzazione del popolo vietnamita o l'abiezione di Abu Ghraib e Guantanamo, sarà comunque incline a vedere in questi episodi delle deviazioni dall'onorevole cammino delle liberaldemocrazie, mentre non esiterà a considerare i gulag e le fosse di Kathyn consustanziali allo sforzo stesso di creare una società di eguali iniziato con la Rivoluzione di Ottobre.

Leggete un po' di storia, rendetevi conto che la parabola del comunismo si compie in un arco di tempo relativamente breve, durante il quale fu sempre presente uno stato di emergenza imposto tanto da un incessante assedio esterno quanto dalla necessità (in Europa dell'est e nel Terzo Mondo) di riscattarsi a tappe forzate da un'atavica arretratezza. Compito quest'ultimo assolto piuttosto bene, come sanno tutti gli storici dell'economia del XX secolo: cos'era l'economia polacca prima della seconda guerra mondiale?

Quando si saranno poste le premesse di una storiografia affidabile, allora e solo allora si potrà esercitare il giudizio critico sui limiti e i difetti di un tentativo generoso. A quel punto, con uno sguardo rivolto al futuro, si potrà ragionare sulla vera grande colpa del movimento comunista internazionale: la colpa di essere stato sconfitto.